Piatto d’antiquariato con «mazzo fiorito» (e retrospettiva)
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Questo è un piatto che riporta la firma di “Torruta”, si trattava di una vecchia fabbrica di maioliche sita a Deruta ora chiusa da molto tempo. Come oggetto, il suo periodo di produzione dovrebbe risalire alla metà del secolo scorso, forse tra gli anni Sessanta e Settanta e già al primo colpo d’occhio è tanto eccezionale quanto ingannevole.
Se osservato a distanza sembra un qualunque piatto di medie dimensioni che riporta una comune stampa a caldo di un generico bouquet, forse riproduzione meccanico-tipografica di un’illustrazione o di un dipinto anonimo, ma avvicinandosi, le pennellate reali, il tocco concreto della mano di un artista e la sua chiara volontà di creare un soggetto originale usando le tecniche della decorazione tradizionale di Deruta, emergono senza che si possa mettere in dubbio l’origine di questa piccola opera d’arte minore.
Tecnicamente si tratta di un piatto del diametro di 25 centimetri in terraglia bianca (è leggerissimo e sottile), con il bordo esterno sagomato in anse contrapposte (come parentesi graffe che si rincorrono rovesciandosi) e ha un secondo bordo interno in rilievo che lascia pensare come, questo piatto, non fosse altro che un modello per le stoviglie comuni, fin quando non venne scelto come supporto per la pittura.
Nella tradizione delle ceramiche di Deruta, grazie anche a una domanda molto forte e a committenze che andavano a chiedere soggetti non unicamente connessi ai classici della produzione locale, le fabbriche e i laboratori della cittadina umbra del tempo si impegnarono a svecchiare i soggetti e nel creane di nuovi, generati tuttavia dalle applicazioni delle tecniche pittoriche di base già conosciute.
Difatti gli approcci essenziali alla decorazione nella tradizione di Deruta possono essere racchiusi in due, in gergo il primo è indicato come il «contornato» e il secondo come lo «sbaffo» – il primo prevede la delineazione di bordi e contorni delle figure, quasi esclusivamente con il nero, che siano grottesche, fogliami, fiori o figure umane o animali, in modo netto e preciso; poi queste figure sono colorate sequenzialmente usando progressivamente i colori chiari e poi quelli più scuri. Il secondo approccio invece si concentra principalmente sullo “schizzo” di elementi decorativi applicando immediatamente delle macchie di colore più o meno regolari che poi saranno – se necessario – rifinite in seguito da tratti più sottili.
Le differenze di risultato finali tra i due approcci possono essere notevoli. Il contornato porta ad avere lavori molto complessi e dettagliati che risaltano per la precisione e la cura qualitativa del disegno, dei tratti e delle sfumature, mentre lo sbaffo dà agli oggetti un aspetto che soddisfa meglio gusti meno elaborati alla ricerca di una maggiore vivacità degli effetti cromatici la quale, seppure a volte può dare l’impressione di un semplicismo che distrugge il virtuosismo e porta la percezione sino alla “dozzinalità”, quando è padroneggiato dalle giuste mani, educate anche ad altre tecniche e principi, lo sbaffo può dare risultati superiori al contornato in termini di realismo e naturalismo.
Su questo pezzo, per esempio, il colore nero è del tutto assente, il colore più scuro è un marrone-bruno che, a parte la finitura del bordo esterno del piatto, non è impiegato per dare i “termini” dei membri e degli elementi, ma è usato per dare corpo agli oggetti attraverso le parti in ombra, nei chiaroscuri che interessano e foglie lunghe e appuntite, dipinte con pennellate sottilissime a iniziare dal giallo, seguito da sovrapposizioni di verdi fino ai pigmenti più scuri che sono ignorati del tutto nella rosa centrale – elemento ripreso da uno stile classico ma difficilmente se ne potrà trovare una dipinta con tanta elaborazione naturalistica – e su tutti gli altri fiori intorno, i quali – a conclusione di questa descrizione – occupano lo spazio del piatto in modo del tutto autonomo, senza essere vincolati da un confine deciso a priori, a sottolineare meglio ancora l’originalità e l’uso libero delle tecniche.